21 febbraio 2013

Tortillas de maìz caseras


San Antonio, Texas, decima città degli Stati Uniti a 200 km dalla frontiera messicana, è un posto che con l'idea dell'America di sex and the City non ci azzecca proprio niente.

Quando vi approdai, esattamente diciassette anni fa, portavo nella mia valigia da emigrante una moka, due pacchetti di caffé e due pezzi di Parmigiano Reggiano sottovuoto.
Ora non vorrei sembrare mia nonna, ma diciassette anni fa le cose erano davvero diverse: le informazioni non viaggiavano così copiosamente e velocemente sull'internet, la casella di email si otteneva in abbonamento (qualcuno si ricorda le xxx@mbox.vol.it?) ed eravamo in balia dei fax. I cellulari GSM erano neonati e sms, voip e banda larga erano impensabili. Si usava il telefono pubblico e i numeri si cercavano sugli elenchi.
Il cibo degli Stati Uniti, a quei tempi, era circondato da un alone di leggende metropolitane e informazioni tendenziose, tipo l'amica che giura di essere sopravvissuta mangiando per 15 giorni solo burro di noccioline o ristoranti che mettono la pasta ad ammollare in acqua il giorno prima di servirla.
Con le mie scorte in valigia mi assicuravo una tazza di caffè e un sapore assolutamente italiano per tutto il tempo necessario all'organizzazione iniziale.
Già,  una tazzina di caffé... non avevo portato con me le tazzine, ma questa è un'altra storia...

San Antonio non somiglia alle grandi città dei film, non sta nel deserto o tra i canyon  tipo Ombre Rosse, intorno non ci sono distese di campi o case coloniali come in  Via col vento. Non ha un downtown futuristico alla Seattle e non ci sono pozzi di petrolio a perdita d'occhio o mandrie di vacche e cavalli selvaggi che galoppano come nella serie televisiva "Dallas". In ultimo, il suo skyline non ha niente a che vedere con quello mozzafiato di New York (qualche grattacielo e la Tower of Americans che è tutta un programma)

Però ci sono i messicani.

A San Antonio i messicani vivono  da generazioni (mancano invece gli italiani e gli afroamericani) e del loro contributo è colorata tutta la città.

 L'aspetto del downtown è caratteristico, con le sponde del San Antonio river che pullulano di localini dove si mangia, si beve e si suona dal vivo. Tali sponde in primavera/estate pullulano anche di mandrie di scarfaggi. E se uso il termine "mandrie" è per dare un'idea della dimensione degli scarrafoni... Nonostante gli insettacci, i "Sanantoniesi" sono convinti che la loro città sia la Venezia degli States... (shhh, sarebbe inutile dire che sono in errore, sono troppo razionali e lievemente tonti per capire dove sia la differenza tra un fiume con le sponde abitate e Venezia)

Ci sono due cose che a San Antonio hanno perso la loro identità primigenia: la lingua e la cucina.
Entrambe hanno lo stesso nome: Tex Mex.
Sul dialetto, incomprensibile come solo un mix di termini spagnoli e inglesi (pronunciati alla texana) può essere, eviterei qualsiasi tipo di commento: nessuno sarebbe in grado di descriverlo.
La cucina TexMex è deliziosa, riunisce il meglio delle tradizioni messicane con quelle care agli americani. Vivere questo modo di cucinare è un po' diverso (in meglio) che leggerne: la verità è che i caposaldi della cucina Mex, peperoncini, mais, riso, fagioli e uova qui si arricchiscono di carne (e che carne!), dolcetti e biscotti Tex  mentre le spezie e gli aromi Mex invadono a loro volta i punti di forza della cucina Tex in un connubio dolce e piccante.

La comida de San Antonio mi è rimasta nel cuore, tanto està rica... e come non essere tentata dal rimetterla in campo, visto che è sostanzialmente a base di mais e riso, povera di cereali pericolosi (facilmente aggirabili), gustosa, colorata e un po' diversa dal solito?
Quindi, con la dovuta devozione ed attenzione ho iniziato a riordinare le idee. In tutti questi anni ho sì cucinato texmex ma sporadicamente, per via della difficile reperibilità delle spezie giuste.
Nel mio periodo a San Antonio lavoravo in un laboratorio molto internazionale, dove tutti erano delle ottime forchette ma nessuno sapeva cucinare. La maggior parte degli ospiti veniva dalla Spagna, poi c'era un messicano, un coreano, qualche cinese e due brasiliane. Diciamo che tra latini abbiamo fatto subito comunella. E spesso il sabato Tina (la moglie del prof Messicano) e la sua mama ci invitavano a cena.
"Cena" non è la parola adatta. A casa di Tina e Genaro si cenava verso le cinque e mezza del pomeriggio. Le loro abitudini erano: ricco breakfast mattutino, uno snack a base di nachos o altri  stuzzichini alle 12:30 e a tavola una volta a casa, di ritorno dal lavoro.
Si iniziava con un pico de gallo, piccoli pezzi di tortilla fritti da intingere in una specie di insalata di pomodoro piccante tagliata a pezzi piccolissimi tanto da sembrare una salsa e si andava avanti con tacos ripieni di carnitas, di verdure e conditi con le tipiche salse dal nome ispanico ma dal gusto 'mmericano: guacamole dip e cream de queso (saranno state pure trash food ma erano spazialmente buone). Carne alla griglia, oppure, nei giorni di festa, mole.
Poco dolce, molto tequila.
Per cominciare ad addentrarci nel TexMex c'è bisogno di partire dal cuore.


E in questo caso il cuore della cucina TexMex è avvolto in un sottile disco di farina di mais, la tortilla.
La tortilla somiglia ad una piadina (di quelle originali ho un ricordo lontano, ben più antico di 17 anni) , che può essere fatta di maiz, di grano (harina blanca) e mista. Con il termine tortilla si indica anche la frittata.
I messicani prediligono la tortilla di mais integrale (o mista, a seconda della regione), i 'mmericani con poco sangue Mex la amano mista a farina di grano o blanca.
A noi che rifuggiamo il glutine piace pensarla come i messicani più puri.
La tortilla è una specie di jolly, un'entità trasformabile di volta in volta in tacos, nachos, echiladas, gorditas, fajitas, chiminangas,  burritos e quesadillas 

Tina e sua madre compravano spessissimo tortillas già fatte ma altrettanto spesso le confezionavano da sole. Avevano una pressa di alluminio (tipo quella per le cialde)  e con un paio di movimenti producevano dischi perfetti. Tina mi diceva sempre che il segreto della tortilla è la farina, che non è una farina di mais come le altre. La masa harina, quella adatta alle tortillas, ha subito un processo di cottura particolare. Lei sosteneva che lì, in Texas non aveva mai trovato quella fresca e si accontentava di quella commerciale.
Qui in Italia so che si trova abbastanza facilmente la farina Maseca. Per me la Masa più comune da trovare in negozio è quella P.A.N, che ho utilizzato con successo in tempi glutinosi. 
Purtroppo non è glutinopriva e per noi del club non va bene. Così ho provato la farina per pane di mais della Loconte, facilissima da trovare al super (per me), garantita senza glutine e adatta per fare le arepas (roba panosa argentina)
La ricetta per fare le tortillas è facilissima:
  • 2 tazze di masa harina
  • 1 bicchiere e mezzo di acqua tiepida
  • 1/2 cucchiaino di sale
  • 1 cucchiaino d'olio d'oliva.


Il cucchiaino di olio di oliva è una mia idea, la sensazione che mi da' è quella di elasticizzare la palla di farina. 
La masa va impastata aggiungendo poca acqua per volta. Per noi che viviamo deglutinevolissimevolmente sarà uno scherzetto: questa farina è davvero "facile", per chi invece non ha dimestichezza con le altre farine, bisogna lavorarla fino ad avere la sensazione di avere tra le mani una palla di plastilina.
La masa si compatta benissimo e rimane piacevolmente ruvida. Mentre impastiamo aggiungiamo il sale e il filo d'olio. Avvolgiamola nella pellicola e mettiamola a riposare, minimo un quarto d'ora, meglio un'oretta (più riposa meglio è, basta che si mantenga umida, secca facilmente)
Dividiamo ora la pasta in tante palline, diciamo della dimensione di un uovo piccolo.
Ovviamente non ho la pressa per le tortillas e mi sono ingegnata ad appiattire le palline a mano e a spianarle tra due fogli di carta forno, con il mattarello. Il disco deve essere di una ventina di cm di diametro. Se si azzecca ai fogli di carta forno, aggiungere farina all'impasto. Se i bordi del disco si rompono facilmente, aggiungere un goccio d'acqua. Per farle carine e regolari, metto un bel piatto sulla tortilla distesa e taglio i bordi in modo regolare.

Ho visto che molti usano distenderle tra due sacchetti per la congelazione e le pressano con l'aiuto di una pirofila (proverò così la prossima volta che le faccio)

Ovviamente non ho nemmeno un comal, la piastra di ghisa che serve a cuocerle. Basta una padella antiaderente ed il risultato è raggiunto.  Bisogna riscaldare la padella per benino, adagiarvi la tortilla e attendere una quindicina di secondi, girarla e farla cuocere sull'altro lato per pochi secondi, girarla ancora e così via. In totale deve permanere sul fuoco un paio di minuti. Una tortilla che si abboffa è una buona tortilla!
Ora uno dei miei divertimenti principali è quello di girarle con un movimento "da grande chef", lanciandole per aria e facendole riatterrare nella padella. Giuro, con le tortillas è facilissimo!!!

Quando l'altro sabato le ho preparate, mentre mi esibivo in questa prodezza il manico della padella si è fatto in due parti. Ho lanciato in aria non solo la tortilla, ma anche il corpo arroventato della padella, a rischio di farmi davvero molto male
Per fortuna siamo usciti tutti indenni da questo piccolo incidente: io, gatti, fornelli, anacoreta e ... tortillas!
Io, che sono irrazionalmente e napoletanamente superstiziosa, penso che ci sia qualcuno con l'occhio secco che mi lancia strali di sfiga

La tortilla è cotta quando porta qualche sbruciacchiatura ma è ancora morbida. A me piace un pochino arruscata, l'importante è che non sia biscottata. 
A questo punto bisogna levarla dalla padella/comal e conservarla... qui entra in gioco un altro accessorio necessario e indispensabile : el tortillero!

Tina ne aveva uno tipo quello chiaro, dentro vi adagiava un tovagliolo bagnato in acqua bollente e ben strizzato, sopra vi metteva un altro tovagliolo asciutto.
Le tortillas si consumano calde. Quando sono calde sono piegabili e maneggevoli, quando si raffreddano lo sono molto di meno. Non so se il trucco del tovagliolo sia diffuso o meno però funziona.
Tina scaldava o cuoceva le sue tortillas sul comal e poi infilava tutto nel tortillero caldo e portava a tavola. Io, che al momento non ho ancora trovato una soluzione simpatica per ovviare alla mancanza del tortillero, le avvolgo nel fazzolettone bagnato e strizzato. Attenzione, perchè con troppa umidità o a contatto con l'acqua la tortilla diventa limacciosa, se lasciata all'aria diventa rigida come un freesbee...



A casa di Tina, noi commensali sfilavamo una tortilla dal cesto, la adagiavamo nel piatto e la riempivamo con tutte le salsine buone messe a disposizione al centro del tavolo. Si arrotola la tortilla come una crepe ed essa, magicamente, cambia nome e diventa un taco! El taco si mangia con le mani e con abilità per non far schizzare tutto il contenuto fuori dai confini del piatto!



Io, in questo primo approccio ne ho preparate pochissime, per riempirle ho usato una banalissima insalata di patate e pomodori con cipolla cruda tagliata a fettine sottilissime e polvere di peperoncino di cayenna... e un pochino di panna acida (un po' troppo acida stavolta) giusto per avere quella sensazione di texmessicanità...

Non so come l'anacoreta si ponga con queste mie velleità d'oltreoceano (l'anacoreta legge quello che scrivo ma non ama commentare)  ma intenderei perseverare. La strada è lunga:

  • due avocados sono a maturare nel frigo
  • devo andare a caccia di peperoncini adatti
  • devo individuare chi ha piantato il suo occhio secco sulla mia cucina.
A proposito, su facebook ho anche lanciato un appello ai miei amici: "Non mi secciate, vi invito a cena", ma nessuno si è fatto avanti!!!!
Allora sono passata al contrattacco, al mercato ho trovato una specie di comal e me lo sono comprato.
Tié!!!!!
E se qualcuno prova ancora a gufarmi i piatti... glielo suono in testa!

Invece qualcuno ha segnalato  Deglutinevolissimevolmente alla Shar! 
E stato un pensiero carino e anche la motivazione mi piace tantissimo. Grazie, anonimo segnalatore! 

E i villi?
Cosa ne pensano i villi delle tortillas?
 Avrebbero voluto esprimere il loro pensiero ma, essendosi spostati di fuso orario, hanno perso la sincronia con la pubblicazione del post. E poi, quando ho finito di scrivere, si erano abbandonati senza ritegno alla siesta pomeridiana...
Olé!

Fonte: Cucinare TexMex, Georgina Adams

Piccolo dizionario napoletano italiano:
Scarrafone: scarafaggio
fare comunella:  fare velocemente amicizia prestandosi anche oggetti e facendosi confidenze strette
occhio secco: il portatore di occhio secco è uno jettatore, lì dove si poggia lo sguardo dell'occhio secco, avverrà un incidente
Secciare: lanciare il malaugurio su qualcuno o qualcosa, anche involontariamente.











17 febbraio 2013

Minestra di minestra (ecco come attirare le ire dei napoletani, dei naturalisti e dei cuochi in un colpo solo)

"'A Menesta... 'a menesta... scennite e accattateve 'a menesta!!!"


(La minestra, la minestra, scendete e venite a comprare la minestra)

La prima volta che ho sentito questo slogan mi sono incuriosita non poco. Possibile che esistano ancora gli ambulanti che vendono il cibo cucinato?
Da poco mi ero trasferita nella periferia Nord di Napoli e nel quavtieve vesidenziale da cui provenivo non avevo mai incontrato questo tipo di bancarellaio. Grande è stata la mia delusione quando ho scoperto che la Minestra è un tipo di verdura, non un piatto caldo già cucinato!
Non avevo mai visto questa verdura, non compariva sui banchi dei fruttivendoli del mio giovanile quavtieve bene.
Che cosa si farà mai con questa verdura?
Ci sono due modi per scoprirlo:
  • indagare in proprio
  • chiedere a mammà o ad altre amiche
  • chiedere alle mie compaesane
Tutte le metodologie si sono rivelate ben presto improponibili.
"minestra" mal si adatta ad essere usata come parola chiave, specie se accoppiata a  "vegetale" "erba" "napoletana" "verdura". Difficile poi competere con la ben più famosa "Minestra maritata (menesta ammaretata)" tipico piatto natalizio la cui ricetta spadroneggia sul WEB in infinte versioni.
Mammà non ha mai sentito nominare questo vegetale, nemmeno le sue amiche. 
In quanto a chiedere alle signore del condominio ... GIAMMAI!!
In questa zona la gente ha una mentalità piuttosto tradizionale mentre io e l'anacoreta siamo già abbastanza famosi per essere l'opposto di una normale coppia di napoletani. Qui (non a Marano, che è un posto normalissimo, ma nei due-tre isolati che mi circondano)  la donna, anche se esce, ovvero va a lavorare come faccio io, mantiene il suo ruolo di massaia al 100%.

Se facessi sapere alle mie vicine che non conosco la ricetta dd''a menesta, diventerei lo zimbello del quartiere (cosa che probabilmente già sono).
 Sarebbe stato più semplice se fossi stata in grado di riconoscere la varietà cui appartiene la verdura...
Ahi ahi, cosa diceva il mio prof. di Botanica II??
"Voi questa Sistematica la dovete studiare!! Ora vi pare inutile, poi vedrete quando farete i concorsi a cattedra o andrete a comprare la frutta... quante figuracce farete!"
Non ho ascoltato affatto il professore di Botanica e si vede.
Pure il mio fruttivendolo (che è tunisino) conosce vita morte e miracoli degli ortaggi campani molto meglio di me.
Avrei potuto chiedere consiglio proprio a Samir ma non mi andava poi di essere interrogata... Eh, il mio fruttivendolo è un professionista a tutto tondo, prima fa una lezione - che so, sulle varietà di arance -  e la volta successiva... interroga!!! Le mie figuracce non si contano.
L'altro giorno la Minestra era lì, bene in vista tra le altre verdure. Eravamo vicini al mercoledì delle ceneri, un'altra delle sue caratteristiche è di essere tipicamente venduta nei momenti dell'anno "di magro".
Ho preso coraggio e finalmente l'ho comprata.

Non sono riuscita a scoprire quale sia il nome comune del malefico vegetale,  a me sembra un mix di piante broccoliformi diverse tra loro, nel senso che i ciuffetti o hanno le foglie ovali o le hanno frastagliate.
(Visto quale è il livello della mia cultura botanica?
:D)
Quello che posso garantire è che la piantina di sinistra è meno pelosa della borragine mentre quella di destra non ha né il sapore dei friarielli né quello della cicoria.

Per cucinarla ho fatto una cosa semplicissima: l'ho pulita (puff puff, pant pant, era sporchissima, piena di terreno e fango), bollita per una decina di minuti e poi l'ho immersa in acqua fredda, come si fa con la "minestra nera" un'altra verdura delle nostre parti che si fa in brodo.
A parte, l'anacoreta ha preparato un bel brodo con un pezzo di carne intero, un "mazzetto" (cipolla, carota, tanto sedano e foglioline di erbette aromatiche), una patata.
Un quarto d'ora prima di andare in tavola, ho ripassato la Minestra in padella, con olio extrav. e pezzetti di pancetta e poi l'ho tuffata  nel brodo (privato del mazzetto e della patata).
Noi cuciniamo spesso in tandem, vuoi per piacere personale, vuoi per rendere meno convulsa la preparazione delle cene infrasettimanali,

Ce la siamo pappata  nel piatto fondo, con tanto brodo e le scorza di parmigiano tagliata a dadini (a chi piace...) e poi, per secondo piatto, la carne...
Piatto semplice, caldo, saporito, sglutinato... cosa si vuole di più dalla vita?

"Vogliamo la PASTA"

è la richiesta che parte impetuosa dal tenue e risale velocemente attraverso piloro, stomaco, cardias, esofago e...

Benedetti villi, avete ottenuto quello che volevate e si sta facendo il meglio per farvi tornare alti e slanciati. Ma pure la sottoscritta vorrebbe evitare di ritornare a forma di sfera...
E se nella pentola ci mettiamo le erbette della tradizione, durante la preparazione ci ascoltiamo questa operazione fantastisca che hanno fatto i nostri amici Salvio e Valentina. A parole mie vi dico che questo album ha l'enorme dono di essere antico, elettronico e attuale tutto in una volta. La voce di Valentina accarezza come quella delle fate e blandisce come quella delle streghe. E la ritmica di Salvio parla al nostro orecchio ancestrale e contemporaneamente intenerisce la carne da brodo.
Il Tesoro di San Gennaro







11 febbraio 2013

Chiacchiere, bugie e tarantelle!

Chiacchiere, frappe, cenci, bugie... 
Qui a Napoli si chiamano chiacchiere, è indiscutibile. E potevo farmi mai mancare chiacchiere e lasagne in questo mio primo Carnevale gluten free?
Non se ne parlava nemmeno, nonostante tutto cospirasse contro di me!
La fornitura di pasta a forma di lasagna deve aver scansato Napoli e dintorni, manca al "Paradiso del celiaco" (la farmacia in cui ultimamente mi rifornisco), manca al supermercato... è destino che la debba fare da me!
I miei esperimenti culinari continuano tra alti e bassi, ultimamente confesso di aver commesso altri spatascetti, complice la mancanza di tempo, l'inesperienza e la mia proverbiale distrazione...

Ma le chiacchiere... caspita, sono sempre stata la reginetta delle chiacchiere da quando sono maggiorenne!
Le ho sempre fatte con la Pastamatic, un aggeggio infernale che mia nonna regalò a mia madre e che mia madre ha passato a me. Mamma non ne sopporta il rumore e la lentezza esacerbante, io, invece, sono sempre stata appassionata di macchine. Quando ero ragazzina non mi dispiacevano neanche i fornai della pubblicità (ve la ricordate? Pastamatic, la forza di cento braccia!)
 In tutti questi anni i bicipiti pagnottosi dei fornai si saranno avvizziti ma la mia Pastamatic funziona gagliardamente almeno dal 1985!
Ecco, e quest'anno, comme aggia fa???
Mi sono rimboccata le maniche e, innanzitutto ho bonificato la Pastamatic.
L'ho aperta tutta quanta, ho spazzolato per bene tutte le parti che avrebbero potuto nascondere farine contaminanti e ho lavato in lavastoviglie tutte le parti mobili consentite. (Se non avete dimestichezza con l'elettricità non cimentatevi! Io sono un poco temeraria, però ho avuto un bravo maestro e qualche piccola riparazione mi riesce)
Poi sono andata a caccia di una ricetta sglutinata.
Stavolta mi è venuta in aiuto Raffaella con le sue bellissime bugie, mi sono fatta ispirare dalle sue proporzioni ma ho mantenuto gli ingredienti della mia ricetta:

150 gr di farina per pane e pasta lievitate BiAglut
1 uovo intero
40 g di zucchero
1 cucchiaio di olio di semi
1 cucchiaio di Cointreau (doveva essere grappa ma non ne avevo in casa)
un pizzichino di sale
un mezzo cucchiaino di lievito in polvere garantito senza glutine
nella mia ricetta c'era anche 1 cucchiaino di essenza di limone ma ho evitato pensando che con il Cointreau facesse a cazzotti.

Ho infilato tutto nella Pastamatic, la palla di pasta è venuta bella, liscia e satinata. mezz'ora di riposo e poi via, attraverso la trafila...
Un disastro!!! 
Questa pasta, pur essendo abbastanza elastica, dalla trafila in bronzo esce DEVASTATA!!! Più che una pettola larga 4 cm è una collezione di striscioline e coriandoli... Con il Carnevale ci starà pure bene ma con le chiacchiere non va proprio!
Mo' pare che ogni volta che faccio qualcosa per forza, ad un certo punto, ci sia una tarantella in agguato!
Ed è certo che con le tarantelle i racconti sono più divertenti, è certo pure che tra la cucina senza glutine e le tarantelle ci sia una proporzionalità diretta...
Eppure le lasagne (che ho fatto con la Farmo per pasta all'uovo, seguendo pari pari la ricetta sulla busta) sono passate benissimo senza intoppi e sono venute bellissime, sottili sottili... e senza tarantelle!
OK. Sfoderiamo il mattarello e stendiamo queste benedette chiacchiere a mano.
La rotellina zigrinata per fare i bordi bellilli non ce l'ho.
La pazienza di piegare il pezzo di sfoglia per fare una specie di nocchetta mi è passata.

Dedichiamoci al sanguinaccio, va....
Ecco, per il cioccolato con la cannella (che ci piace chiamare comunque sanguinaccio perché fa più Carnevale, ma certo è che di sangue non ce n'è nemmeno una goccia) ho usato la ricetta di mammà, che è senza glutine già di suo.

250 ml di latte
1/2 bicchiere di acqua
80 g zucchero
50 g burro
15 g maizena
una confezione di cacao amaro adatta per celiaci
buccia di mezzo limone
cannella (sempre garantita senza glutine) q.b.

Si inzia riscaldando il latte con la buccia di limone, lo si fa arrivare quasi ad ebollizione e poi lo si abbandona lì sui fornelli, coperto. Si scioglie la maizena nel mezzo bicchiere d'acqua. Si mescola lo zucchero con il cacao e poi a poco a poco si amalgama l'acqua con la maizena, fino a fare una pasta cremosa. Mia mamma dice sempre che se si mescola in quest'ordine i grumi di cacao non vengono. Provare per credere.
Abbandonare anche la pasta di cacao e tornare alle chiacchiere.

E' ovvio, dopo un anno non ricordo più se le chiacchiere si gonfiano friggendo nell'olio molto caldo o in olio  tiepido. In più la padella è nuova (la mia fida padellona è passata a miglior vita la settimana scorsa) e le chiacchiere sono senza glutine... devo improvvisare.
E prima è troppo caldo... e dopo è troppo freddo... ogni scusa è buona a che queste sfaticate non si comportino a dovere. Se è caldo si bruciano in tempo reale. Se ne metti troppe insieme l'olio cala di temperatura e i dolcetti si imporpano e non si abboffano...
In qualsiasi caso ho capito che tra ricetta sglutinosa, padella nuova e olio, le chiacchiere piccine venivano meglio di quelle più grandi. Così tagliuzzato a metà quelle più grandi.

 Quelle piccole e quadrate sono venute davvero belle gonfie, quelle più grandi sono state meno costanti. E' ovvio che non vi farò mai vedere quelle secche, marroni e bruciate ma, fidatevi, almeno 5 o 6 mi sono venute così...


Finita la frittura, sono ritornata a bomba sul "sanguinaccio"!
Bene: eliminare le scorzette di limone dal latte e, con pazienza, sciogliere la pasta di cacao nel latte tiepido.
una volta che è tutto sciolto, rimettere sul fuoco e continuare a girare fino a che il tutto non si addensi per benino.
A questo punto spruzzare con la polvere di cannella e sciogliere il burro tagliato a cubetti.
Io, confesso, ho prolungato un poco la cottura e ho usato non più di 20 grammi di burro.
Il risultato è stato ... ehm... ehm... se ci fosse stato davvero il sangue si sarebbe dovuto scoagulare... eparina o San Gennaro, per non avere una crema solida!
Servire freddo, insieme alle chiacchiere.

Ecco, io  e il mio amato consorte anacoreta ci siamo trezziati queste chiacchiere fino a sera.
Nel pomeriggio ho giocato alla piccola fotografa e ho cercato di fotografarle... è stato un lavoro difficile perché i villi, impazienti di ricevere e di assorbire per la prima volta fritto e cioccolata insieme, mi si appendevano al cavalletto e mi facevano le ditate sugli obbiettivi.
Si mettevano davanti alle luci e si rotolavano nello zucchero al velo.
Insomma, hanno fatto talmente tante scostumatezze e mi hanno fatto talmente innervosire che quando poi li ho visti gonfi, translucidi e un poco sofferenti per le troppe chiacchiere non mi hanno fatto pena. 
Anzi, ho guardato dritto negli occhi il villo più paffuto di tutti, quello che aveva ancora l'orletto a spazzola sporco di cioccolata e gli ho detto a bruciapelo: domani pane e acqua!
E visto che qui  il pane è problematico, solo acqua!


P.S. Le lasagne, belle, sottili e ben riuscite, una volta cotte si sono disintegrate. Praticamente nel ruoto mi è rimasta solo l'imbottitura. Il sapore era ottimo ma abbiamo praticamente mangiato un pasticcio di ricotta, salsicce e provola... altro mezzo spatascio...
Mi sa che al lato del blog devo aggiungere una tacca per ogni spatascio praticato...


Piccolo dizionario napoletano/italiano
comme aggia fa : come devo fare?
Mo': ora

tarantella: la tarantella è un ballo popolare ma in questo caso il termine è usato in senso figurato. "Fare le tarantelle" significa fare qualcosa passando per mille difficoltà.
bellilli: bellini

imporpano: si inzuppano (si riducono piene d'acqua come un polpo)

abboffano: si gonfiano assai
Trezziati: il verbo trezziàre significa: giocarsi un lungo tempo di attesa per prolungare il godimento che verrà
ruoto: teglia con un timballo al forno (per capire davvero cosa il ruoto rappresenti vedere questo video)